mercoledì, 12 novembre 2008

PARODIA DEL MOVIMENTO

La vita è come la bicicletta.
Per restare in equilibrio bisogna muoversi.
Albert Einstein

Qualcuno dice che bisogna rinnovare il linguaggio, alcuni offrono soluzioni semantico/comunicative, altri sostengono la tesi secondo cui “i nemici dei nostri nemici sono nostri amici” e poi altri ancora dicono che tutto ciò che è novecento è vecchio e sorpassato e così via.
A ben vedere gli stessi che propongono talune soluzioni non è che godano di ottima salute e anche quando i numeri di partecipanti sono, e lo sono, più significativi di altri va però detto che non è che la sostanza e cioè i contenuti espressi siano particolarmente interessanti…eufemisticamente parlando.
Allora forse il problema di fondo non sono tanto gli strumenti ma, banalmente, il fine che si vuole perseguire. Che nell’oggi della marcia trionfale capitalistica, e nonostante tutti possano vedere quanto poco ci sia da festeggiare, sia di moda sbarazzarsi di ogni residuo novecentesco buono, condivisibile, attuabile e forse irrinunciabile poco importa.
——
Si butta tutto, acqua sporca col bambino, vecchi scaffali con i libri.
Il progetto che avete sotto gli occhi è un progetto aperto: non parla una lingua perché è giusto o sbagliato, parla la lingua che si conosce ma se qualcuno ne conosce altre è ben accolto.
Così unendo conoscenze moltiplichiamo la comunicazione.
Quello che però è chiaro a  noi che l’abbiam assemblata, e che aspiriamo possa essere migliorata e di molto, è il senso che ha oggi, più di ieri, il “muoversi”.
Un senso che ha radici lontane, prima ancora del novecento, e rincorre un futuro, l’unico futuro per noi accettabile: che vede un’umanità solidale, non gerarchizzata, propensa alla felicità di ognuno e di tutti, conscia che libertà e uguaglianza siano valori e aspirazioni imprescindibili e complementari ma soprattutto inscindibili.
Questa goccia in mezzo all’oceano, questo granello di sabbia in un motore mortifero oliato da troppo tempo, altro non è che uno strumento da socializzare.
Bisogna però socializzarlo.
E questo aspetto è la metafora della vera e profonda difficoltà che i senza potere hanno da troppo tempo: non socializzano, al massimo comunicano ma non è la stessa cosa, anzi.
Che il bisogno di socializzare però sia diffuso lo dimostrano i tanti tentativi (per altro azzeccati in termini di business) tutt’ora in “rete” dove blog, social network e community esplodono e costringono i padroni ad aggiornare conoscenze, spartirsi know how a suon di milioni di dollari e fagocitarsi  a vicenda nel nome di quel fantomatico “libero mercato” di cui tutti stiamo ancora aspettando che qualcuno ci spieghi chi, come e quando sia esistito nel mondo che noi conosciamo.
Il problema è che il fine di questa socializzazione è il mezzo stesso, tutto è virtuale: la conoscenza e la soddisfazione. Noi vorremmo che dal virtuale si approdasse alla realtà, che dalla conoscenza, alla sua socializzazione si arrivasse alla fiducia umana.
Loro però oltre ai soldi, c’hanno testa (e se non abbastanza comprano quelle degli altri) e hanno tempo.
Noi invece abbiamo singolarmente pochissimi soldi, di teste ne abbiamo (chi più e chi meno) ma di tempo pochissimo (perché c’è lo tolgono loro o quantomeno c’è lo tengono occupato il più possibile).
Così abbiamo pensato fosse il caso di ricominciare dal tempo, mettendo in comune le teste pensanti per arrivare ai soldi: si il denaro ma per spartircelo fra noi, socializzandolo e investendolo in progetti di utilità sociale solo fra noi (richiamati dalla foresta) e sottraendolo a loro, quanto più possibile a quanti più possibile.
Non un Robin Hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri ma tanti Robin che rubano ai ricchi perché sono poveri;)
Questo progetto è mutualismo, ma tu chiamalo come vuoi.
Queste idee sono anarchiche, ma tu chiamale come vuoi.
Questi valori sono comunisti, libertari, sovversivi ma tu chiamali come vuoi.
Questo strumento è solidarietà, questa però chiamala così, chiamala con il suo nome.

Perché è di questo che c’è bisogno: una solidarietà vera perché autonoma da ogni filantropismo, carità o anche bisogno di trasgressione foss’anche esotica, terzomondista o quant’altro.
E si badi non ci interessa sindacare da dove uno venga, quali i suoi trascorsi e con chi intenda intraprendere il viaggio, a noi interessa che la strada (lo strumento) porti dove si vuole noi.
Un vecchio compagno diceva “non basta desiderare una cosa: se si vuole ottenerla davvero bisogna impiegare i mezzi adatti al suo conseguimento. E questi mezzi non sono arbitrari, ma derivano, necessariamente, dal fine cui si mira e dalle circostanze nelle quali si lotta; giacché ingannandosi sulla scelta dei mezzi, non si raggiungerebbe il fine propostosi, ma un altro, magari opposto che sarebbe conseguenza naturale, necessaria, dei mezzi adoperati. Chi si mette in cammino e sbaglia strada, non va dove vuole, ma dove lo porta la strada percorsa“(E. Malatesta).
Così, giusto per rispondere a quanti paventano questioni di “stile”, la parodia del movimento non è apparentemente quella in uso nel gergo comune, la parodia del movimento è quella comunemente intesa nella musica d’un tempo “parà (simile) + odè (canto)” indicando la trascrizione di un brano musicale con la sostituzione dell’orchestrazione e/o del testo cantato, dove non vi è alcun intento satirico, anzi, si tratta di testimonianze di sincera ammirazione fra autori.
 
Non chiediamo ammirazione ma partecipazione, perchè questo o è un progetto di tutti e per tutti o semplicemente non è.
 

Stefano Raspa

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