Addio Gino

Ci ha lasciato Luigi Ancona, per tutti Gino.

A Bitonto e fuori lo conoscevano tutti.

Restauratore con un passato nel teatro, è sempre stato in prima linea quando si trattava di proteggere il bene comune, anche a costo di azioni clamorose.

Un artista, difensore della bellezza e nemico delle ingiustizie, un uomo dal senso civico immenso che ha combattuto mille epiche battaglie in solitudine.

«Essere anarchici è mettere ordine nella complessità della vita e correggerla giorno per giorno: la rivoluzione non si realizza dall’oggi al domani e non può essere violenta»

«L’anarchismo non è un’ideologia, ma un metodo per favorire gradualmente l’ emancipazione dell’uomo da ogni potere e si muove contro ogni logica di schematizzazione dell’esistenza. C’è bisogno di coordinare i vari mestieri e renderli il più indipendenti possibili, visto che il potere sfrutta l’impossibilità della gente a costruirsi un futuro. È necessario dunque essere rivoltosi non solo nel tempo libero, ma 24 ore su 24, senza isolarsi dal mondo».

E tra i tanti episodi che lo hanno visto protagonista, non si può non ricordare la famosa protesta dell’inverno 2004 contro i parcheggi interrati in piazza Moro, sempre nella sua Bitonto. «Si trattava di opere faraoniche ed inutili – spiega – ma nessun giornale mi dette retta fino a quando non mi accampai in piazza, iniziando uno sciopero della fame durato 43 giorni».

«Le forze dell’ordine tentarono di arrestarmi durante un comizio di Nichi Vendola, ma i cittadini insorsero. Rischiai addirittura il trattamento sanitario obbligatorio», racconta Ancona, in seguito assolto per la sua opera di controinformazione solitaria.

Viva la morte, viva la libertà, viva l’anarchia, viva Gino Ancona!

ARRESTATI DIRIGENTI NAZIONALI DEL SI COBAS

Si Cobas Lavoratori Autorganizzati

UN NUOVO, PESANTISSIMO ATTACCO REPRESSIVO CONTRO IL SINDACATO DI CLASSE E LE LOTTE DEI LAVORATORI.

All’alba di stamattina, su mandato della procura di Piacenza, la polizia ha messo agli arresti domiciliari il coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani e tre dirigenti del sindacato piacentino: Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli.

Le accuse sono di associazione a delinquere per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, sabotaggio e interruzione di pubblico servizio. Tale castello accusatorio sarebbe scaturito dagli scioperi condotti nei magazzini della logistica di Piacenza dal 2014 al 2021: secondo la procura tali scioperi sarebbero stati attuati con motivazioni pretestuose e con intenti “estorsivi”, al fine di ottenere per i lavoratori condizioni di miglior favore rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale…

Sul banco degli imputati figurano tutte le principali lotte e mobilitazioni condotte in questi anni: GLS, Amazon, FedEx-TNT, ecc.

È evidente che ci troviamo di fronte all’offensiva finale da parte di stato e padroni contro lo straordinario ciclo di lotte che ha visto protagonisti decine di migliaia di lavoratori che in tutta Italia si sono ribellati al caporalato e condizioni di sfruttamento brutale.

È altrettanto evidente il legame tra questo teorema repressivo e il colpo di mano parlamentare messo in atto pochi giorni fa dal governo Draghi su mandato di Assologistica, con la modifica dell’articolo 1677 del codice civile tesa a ad eliminare la responsabilità in solido delle committenze per i furti di salario operati dalle cooperative e dalle ditte fornitrici.

Ci troviamo di fronte a un attacco politico su larga scala contro il diritto di sciopero e soprattutto teso a mettere nei fatti fuori legge la contrattazione di secondo livello, quindi ad eliminare definitivamente il sindacato di classe e conflittuale dai luoghi di lavoro.

Come da noi sostenuto in più occasione, l’avanzare della crisi e i venti di guerra si traducono in un’offensiva sempre più stringente contro i proletari e in particolare contro le avanguardie di lotta.

Contro questa ennesima provocazione poliziesca, governativa e padronale il SI Cobas e i lavoratori combattivi, al di là delle sigle di appartenenza, sapranno ancora una volta rispondere in maniera compatta, decisa e tempestiva.

Invitiamo sin da ora i lavoratori e tutti i solidali a contattare i rispettivi coordinamenti provinciali per concordare le iniziative da intraprendere.

Seguiranno aggiornamenti.

Le lotte contro lo sfruttamento non si processano.

La vera associazione a delinquere sono stato e padroni.

ALDO, ARAFAT, CARLO E BRUNO: LIBERI SUBITO!

SI cobas nazionale

Guerra alla guerra!

ALBERTO MESCHI

Il 27 maggio 1879 nacque a Borgo San Donnino (PR) Alberto Meschi, l’unico anarchico tra i 35 militari e civili coinvolti nel “processo di Pradamano” (agosto 1917) per propaganda pacifista, ben 8 dei quali erano di Schio.Dopo avere lavorato come muratore a La Spezia nel 1905, in seguito alla sconfitta di un’agitazione volta a ottenere una riduzione dell’orario di lavoro, emigrò in Argentina, dove entrò nel Comitato esecutivo della Federazione anarcosindacalista argentina, partecipando alla redazione del giornale “Organisaciòn obrera”.Rientrato in Italia nel 1911, assunse la direzione della Camera del Lavoro di Carrara, capeggiando le proteste dei cavatori aderenti all’USI e sconfiggendo la frazione interventista guidata da Alceste De Ambris.Nel dicembre 1915, dopo avere scontato una condanna a 6 mesi per attentato alla libertà del lavoro, fu chiamato sotto le armi e inquadrato nel 91° Rgt. Fanteria di stanza a Sondrio.Il 10 maggio 1917 fu sorpreso a ritirare in un caffè di Sondrio due copie del giornale “Sempre guerra di classe”. In seguito anche all’intercettazione di una lettera contenente alcune considerazioni in merito alla conferenza di Stoccolma, fu tratto in arresto e destinato in Libia, ma durante il trasferimento coatto, a Bologna, fu raggiunto da un mandato di cattura del Tribunale di Guerra del XXIV Corpo d’Armata e condotto nelle carceri di Pradamano (UD).Benché il Pubblico Ministero avesse chiesto per lui una condanna a 5 anni di carcere militare, Alberto Meschi fu assolto per non aver commesso il reato di tradimento. Spedito al fronte, fu catturato dagli austriaci e internato in un campo di concentramento sui Carpazi. Rilasciato dopo la fine del conflitto, riprese il lavoro e l’attività sindacale, ma a seguito di ripetute aggressioni da parte degli squadristi di Renato Ricci dovette emigrare in Francia, dove collaborò con la Lega per i diritti dell’uomo (LIDU).Allo scoppio della guerra civile spagnola attraversò i Pirenei e, alla non più verde età di 57 anni, si arruolò nella colonna “Ascaso”, con la quale combatté fino alla caduta della Repubblica. Riparato in Francia fu internato nel campo di raccolta di Noé, in Alta Garonna, dal quale riuscì a fuggire alla fine del 1943.Dopo la fine della guerra fu incaricato di dirigere la Camera del Lavoro di Carrara, dedicandosi alla pubblicazione del foglio sindacale “Il Libertario”, fino alla morte avvenuta l’11 dicembre 1958.

UGO DE GRANDIS, Guerra alla guerra! I socialisti scledensi e vicentini al “processo di Pradamano” (luglio-agosto 1917), Centrostampaschio, Schio 2017

SCIOPERO GENERALE

Sciopero

GUERRA E SOLDI

È successo con la gestione della pandemia, e succede con la gestione della guerra in #Ucraina. Politici e mezzi di informazione che si muovono come veri tentacoli #Usa in #Italia, favorendo gli interessi economici d’oltreoceano, dall’inizio dell’invasione bellica operata dalla #Russia, assumono posizioni decise per convincere la cittadinanza italiana ad assecondare i piani americani e della #NATO (che era un’alleanza nata difensiva, dopo la seconda guerra mondiale, ma dagli anni 90 si è trasformata sempre più in un monoblocco politico aggressivo a totale guida americana).

E, così, invece di intervenire a priori, per evitare il danno, è stata agevolata e creata un’architettura di scontro tra “superpotenze”, con una guerra in cui a rimetterci sono essenzialmente gli ucraini, con morti e sofferenze, mentre i responsabili politici, americani, europei e russi, stanno comodi sulle loro poltrone. E come già successo per la pandemia, anche stavolta le iniziative intraprese pongono le condizioni per aggravare la situazione sociale e per distruggere anche l’economia nazionale italiana, facendo ancora una volta comodo agli americani e ai loro interessi commerciali.

Non tutti ricorderanno che, il 28 febbraio, cioè appena 4 giorni dopo l’inizio dell’invasione russa, il presidente del Consiglio #Draghi decise per un nuovo “stato di emergenza”, stavolta non più per la pandemia ma per l’Ucraina, addirittura fino al 31/12/2022, con questa motivazione “in relazione all’esigenza di assicurare soccorso e assistenza alla popolazione ucraina sul territorio nazionale in conseguenza della grave crisi internazionale in atto” [vedere https://www.governo.it/…/comunicato-stampa-del…/19292].

Questo ha fatto subito immaginare che il piano era già prestabilito, per una durata più lunga possibile della guerra. Altro che armi per finire la guerra e arrivare alla pace.

La guerra serve per mandare le armi, facendo guadagnare soldi agli azionisti delle aziende coinvolte. Infatti, nei primi giorni della guerra, quando non si era ancora arrivati allo sfascio totale, si sarebbe già potuto e dovuto muovere l’apparato diplomatico italiano, che è uno dei più capaci e riconosciuti al mondo, perché con la diplomazia si con-vince, cioè si vince-con, e dunque di vince insieme, appianando le situazioni. Invece, con la guerra si vince e basta, con tanti morti, generando acredine e odio permanente in chi perde.

Questa seconda disgraziata strada è stata quella scelta dall’Italia, per il tramite del #governo, succube della linea americana e NATO, e del #parlamento, che sembra ridotto a figurine senza voce, con tutte le conseguenze annesse e connesse. Non solo, ma a furia di riempire l’Ucraina di armi e soldi stranieri, finirà che questo Stato perderà ogni forma di indipendenza, perché resterà soggiogato sotto il peso di un debito incolmabile e ricattato dai creditori, anche per la ricostruzione, a rischio di fare la fine della Grecia (ai tempi della gestione europea di Draghi), con anche il rischio teorico aggiuntivo di arrivare allo smembramento del territorio, con parti cedute anche a Ungheria e Polonia.

A questo, stanno esponendo l’Ucraina gli “amici” europei e americani.SLG-CUB Poste ha aderito allo SCIOPERO GENERALE del prossimo 20 maggio, per l’intera giornata, con Cobas Poste e Cub Poste, in coerenza alla propria coscienza di fondazione, come sindacato contrario agli atteggiamenti militaristi, tipici di chi non subisce i danni che crea. Del resto, le super potenze agiscono solo con la potenza, non con l’intelligenza. E se si va a vedere tutte le volte che sia la Russia che gli Usa hanno iniziato delle aggressioni militari, ai danni di qualche popolo, alla fine, non hanno mai saputo risolvere i problemi creati da loro, lasciando solo scompiglio ovunque si siano intromessi.

Ecco perché, proprio seguendo la storia, se un governo italiano e un parlamento italiano si fanno orientare e coinvolgere in modo totalizzante dalla “superpotenza” americana, allora non sono destinati a fare proprio nulla di buono né per gli ucraini, materialmente e umanamente straziati dalla guerra, e né per gli italiani, economicamente dissanguati.

SLG CUB Poste

Fattorini in guerra

Fattorini

Russia: arrestato sindacalista attivo nell’organizzazione tra i fattorini.

Il sindacalista dei corrieri russi, membro del Blocco di sinistra e dell’Unione marxista, Kiril Ukrainchev, è stato arrestato e portato davanti a un tribunale russo a fine aprile, a seguito di una serie di scioperi organizzati dall’unione dei corrieri, rivendicando la firma del Contratto collettivo per i diritti.

La polizia lo ha arrestato nella sua abitazione, dove ha condotto un’indagine sulla “ripetuta violazione delle regole degli eventi di massa” perché leader di scioperi e proteste. Il tribunale ha deciso di tenere in custodia il sindacalista fino al 25 giugno.

A fine aprile i corrieri di “Yandex Food” e “Delivery Club” hanno previsto di scioperare nuovamente, a causa di una riduzione del 20% dei pagamenti degli ordini, cioè da circa 120 rubli a 90.

Nei suoi due anni di esistenza, il club di spedizione ha avviato diverse lotte e ha avuto notevoli successi: nel giugno 2020, il club di delivery è riuscito a riscuotere debiti. Nell’ottobre 2020 il nuovo sistema di finanziamento si è allentato. Nel febbraio 2021, il sindacato è riuscito a reclutare 11 postini di “Yandex Food” a Sochi. Alla fine del 2021, i governatori di Samokat si sono rivolti al club a causa di ritardi salariali e dopo una campagna mediatica, “Samokat” ha iniziato a pagarli regolarmente.

Rizospastis 7-8 maggio 2022 pagina 14

Aiuti di guerra

Dall’aeroporto di Pisa armi all’Ucraina mascherate da “aiuti umanitari”

USB Pisa

Pisa – lunedì, 14 marzo 2022

Alcuni lavoratori dell’aeroporto civile Galileo Galilei di Pisa ci hanno informato di un fatto gravissimo: dal Cargo Village sito presso l’Aeroporto civile partono voli “umanitari”, che dovrebbero essere riempiti di vettovaglie, viveri, medicinali e quant’altro utile per le popolazioni ucraine tormentate da settimane da bombardamenti e combattimenti. Ma non è così!

Quando si sono presentati sotto l’aereo, i lavoratori addetti al carico si sono trovati di fronte casse piene di armi di vario tipo, munizioni ed esplosivi.

Una amara e terribile sorpresa, che conferma il clima di guerra nel quale ci sta trascinando il governo Draghi.

Di fronte a questo fatto gravissimo, i lavoratori si sono rifiutati di caricare il cargo: questi aerei atterrano prima nelle basi USA/NATO in Polonia, poi i carichi sono inviati in Ucraina, dove infine sono bombardati dall’esercito russo, determinando la morte di altri lavoratori, impiegati nelle basi interessate agli attacchi.

Denunciamo con forza questa vera e propria falsificazione, che usa cinicamente la copertura “umanitaria” per continuare ad alimentare la guerra in Ucraina

Chiediamo:

1) alle strutture di controllo del traffico aereo dell’aeroporto civile di bloccare immediatamente questi voli di morte mascherati da aiuti “umanitari”;

2) ai lavoratori di continuare a rifiutarsi di caricare armi ed esplosivi che vanno ad alimentare una spirale di guerra, che potremo fermare solo con un immediato cessate il fuoco e il rilancio di dialoghi di pace;

3) alla cittadinanza di partecipare alla manifestazione di sabato 19 marzo di fronte all’aeroporto Galilei (ore 15) sulla parola d’ordine “Dalla Toscana ponti di pace, non voli di guerra!”.

Unione Sindacale di Base – Federazione di Pisa

Morti sul lavoro

Morti sul lavoro


MILANO – Le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Inail entro il mese di aprile sono state 306, 26 in più  alle 280 registrate nel primo quadrimestre del 2020 (+9,3%) e in linea con quelle del primo quadrimestre 2019 (303 eventi mortali). Stabile invece il dato generale relativo alle denunce di infortunio: tra gennaio e aprile sono state 171.870 (-0,3% Rispetto allo stesso periodo del 2020).

Tornando ai dati sulle vittime, a livello nazionale i dati rilevati al 30 aprile di ciascun anno evidenziano per il primo quadrimestre di quest’anno un decremento solo dei casi in itinere, passati da 60 a 48, mentre quelli avvenuti in occasione di lavoro sono stati 38 in più (da 220 a 258). L’aumento ha riguardato tutte e tre le gestioni assicurative dell’industria e servizi (da 253 a 263 denunce), dell’agricoltura (da 15 a 25) e del conto Stato (da 12 a 18). Dall’analisi territoriale emerge un aumento nel nord-est (da 51 a 66 casi mortali), nel centro (da 44 a 56) e al sud (da 62 a 87). Il numero dei decessi, invece, è in calo nel nord-ovest (da 104 a 80) e nelle isole (da 19 a 17).

L’incremento rilevato nel confronto tra i primi quadrimestri del 2020 e del 2021 è legato sia alla componente maschile, i cui casi mortali denunciati sono passati da 256 a 277, sia a quella femminile, passata da 24 a 29 casi. L’aumento riguarda solo le denunce dei lavoratori italiani (da 237 a 267) ed extracomunitari (da 27 a 28), mentre calano quelle dei lavoratori comunitari (da 16 a 11). Dall’analisi per classi di età emergono decrementi per gli under 40 (-15 decessi), mentre tra gli over 40 si segnala l’aumento nella fascia 50-64 anni (da 143 a 172 casi).

Classe operaia

Adil Belakhdim

A Biandrate (Novara), Adil, un uomo di 37 anni, lavoratore e sindacalista che stava scioperando al di fuori di uno stabilimento della Lidl, è stato travolto e ucciso da un camion che è uscito forzando il picchetto.

A Prato, si è scoperto che il quadro elettrico dell’orditoio al quale lavorava Luana D’Orazio, era stato manomesso per funzionare anche quando la saracinesca era abbassata.
Operazione fatta per recuperare tempo e aumentare la produttività.
Ovviamente a discapito della sicurezza.

A Tavazzano, vicino Lodi, degli ex lavoratori licenziati dalla FedEx Tnt che stavano manifestando sono stati assaliti e picchiati con bastoni e teaser da un gruppo composto, a quanto pare, da guardie private travestire da lavoratori.

Sul Mottarone, il freno di emergenza della funivia caduta era stato manomesso, anche qui, “per superare le difficoltà economiche ed evitare che si fermasse a lungo”.

Nel frattempo, la stampa seguita da giorni a farci sapere che i giovani di oggi sono degli sfaticati che preferiscono stare a casa e prendere il reddito di cittadinanza, anziché andare a lavorare per 12 ore al giorno e 400€ al mese.
Tesi condivisa anche da buona parte della politica tradizionalmente ostile al RDC, da Salvini e Renzi in giù.

Il punto è che, nel momento in cui sembra che ci si stia avviando ad uscire faticosamente dalla pandemia, il peggior capitalismo d’assalto ha deciso che finalmente è arrivata l’ora di tornare a fare soldi.
Tanto più che, adesso, si sente pienamente rappresentato da un governo che più vicino a Confindustria non si può.

E se per “tornare a correre” (usando un’espressione che va molto di moda in questo periodo) dovesse rendersi necessario passare sopra la vita di qualcuno, si tratterà al massimo di fastidiosi danni collaterali.

Novara, sindacalista muore travolto da un camion

Adil Belakhdim durante una manifestazione (profilo Facebook)


Si chiamava Adil Belakhdim ed era il coordinatore dei Si Cobas di Novara il giovane 37enne, cittadino italiano di origini marocchine, l’uomo morto questa mattina investito da un camion davanti ai cancelli della Lidl di Biandrate, nel Novarese. E’ accaduto in via Guido il Grande, durante una manifestazione di lavoratori della logistica. L’autista che lo ha investito poi è fuggito. A bloccarlo in autostrada sono stati i carabinieri che lo hanno portato in caserma per raccogliere la sua versione. Sul posto è intervenuto anche il 118, ma per il 37enne non c’è stato nulla da fare. Addolorate e durissime le reazioni dei vertici della politica e del sindacato. Il presidente Mario Draghi da Barcellona dove partecipa all’Evento Cercle d’economia, chiede che “si faccia subito chiarezza”.

La dinamica

Secondo la ricostruzione dei testimoni il sindacalista stava presidiando insieme a una ventina di manifestanti i cancelli dove era stato organizzato il presidio sindacale, quando è stato travolto dal camion. Prima trascinato per un tratto, poi lasciato esanime sull’asfalto. “Quel camion lo ha trascinato per una ventina di metri, il conducente non può non essersene accorto”: dicono i lavoratori che hanno assistito all’incidente. Il camion ha urtato anche altri due manifestanti, ferendoli, che si trovano ora in ospedale ma non sono in gravi condizioni.

All’origine della tragedia ci sarebbe stato un diverbio tra il conducente del camion e i lavoratori che protestavano davanti al cancello e bloccando il passaggio. Secondo quanto riferito da Attilio Fasulo, segretario generale della Cgil di Novara, che si trova sul luogo della morte del sindacalista, “i lavoratori presenti hanno parlato di una discussione perché il camionista voleva entrare a tutti i costi”. Sempre secondo le testimonianze raccolte, il sindacalista sarebbe stato travolto e trascinato per una decina di metri, fino all’altezza del passaggio pedonale: infatti nei primi minuti si era immaginato che stesse attraversando la strada.

Adil Belakhdim era rappresentante dei Si Cobas e padre di due figli. Sul posto è accorso il fratello e ci sono stati alcuni momenti di tensione. “Me lo avete ucciso ha detto lui” mentre gli altri lavoratori cercavano di tranquillizzarlo.