Aiuti di guerra

Dall’aeroporto di Pisa armi all’Ucraina mascherate da “aiuti umanitari”

USB Pisa

Pisa – lunedì, 14 marzo 2022

Alcuni lavoratori dell’aeroporto civile Galileo Galilei di Pisa ci hanno informato di un fatto gravissimo: dal Cargo Village sito presso l’Aeroporto civile partono voli “umanitari”, che dovrebbero essere riempiti di vettovaglie, viveri, medicinali e quant’altro utile per le popolazioni ucraine tormentate da settimane da bombardamenti e combattimenti. Ma non è così!

Quando si sono presentati sotto l’aereo, i lavoratori addetti al carico si sono trovati di fronte casse piene di armi di vario tipo, munizioni ed esplosivi.

Una amara e terribile sorpresa, che conferma il clima di guerra nel quale ci sta trascinando il governo Draghi.

Di fronte a questo fatto gravissimo, i lavoratori si sono rifiutati di caricare il cargo: questi aerei atterrano prima nelle basi USA/NATO in Polonia, poi i carichi sono inviati in Ucraina, dove infine sono bombardati dall’esercito russo, determinando la morte di altri lavoratori, impiegati nelle basi interessate agli attacchi.

Denunciamo con forza questa vera e propria falsificazione, che usa cinicamente la copertura “umanitaria” per continuare ad alimentare la guerra in Ucraina

Chiediamo:

1) alle strutture di controllo del traffico aereo dell’aeroporto civile di bloccare immediatamente questi voli di morte mascherati da aiuti “umanitari”;

2) ai lavoratori di continuare a rifiutarsi di caricare armi ed esplosivi che vanno ad alimentare una spirale di guerra, che potremo fermare solo con un immediato cessate il fuoco e il rilancio di dialoghi di pace;

3) alla cittadinanza di partecipare alla manifestazione di sabato 19 marzo di fronte all’aeroporto Galilei (ore 15) sulla parola d’ordine “Dalla Toscana ponti di pace, non voli di guerra!”.

Unione Sindacale di Base – Federazione di Pisa

L’8Marzo

Silvia Ferbri

Festa della donna, giornata internazionale della donna, 8 marzo, mimose…

Dai, già che ci siamo, facciamo un po’ di chiarezza.

La festa della donna, la giornata internazionale della donna, non originano dal “famoso” incendio del 1908 nell’industria Cotton di New York, di cui non si hanno notizie storiche certe, e neppure dall’incendio del 25 marzo 1911 nella fabbrica Triangle, con il quale il primo venne probabilmente confuso, (o si trattò di un voluto falso storico), incendio quest’ultimo in cui ci furono 146 vittime, di cui 123 erano donne. I fatti che portarono all’istituzione della festa della donna e poi della giornata internazionale delle donne sono altri.

Stabilendo la festa della donna come mera commemorazione di quel fatto luttuoso si offre una visione riduttiva e anche fuorviante, e questo tutto sommato ad alcuni può anche venire comodo.

Dobbiamo invece pensare al Congresso della Seconda Internazionale Socialista tenutosi a Stoccarda nel 1907, quando fu votata una risoluzione in cui ci si impegnò a lottare per ottenere il suffragio universale. Nello stesso periodo venne fondato l’Ufficio Internazionale delle donne socialiste. Nel maggio 1908 si cominciò a parlare di giornata delle donne, Women’s day, quando la presidente di quell’ufficio, Corinne Brown, presiedette una conferenza a Chicago a cui tutte le donne erano state invitate.

L’idea di una giornata internazionale nasce nel febbraio 1909, e la proposta viene accolta nel 1910 durante la Conferenza Internazionale delle donne socialiste. I singoli paesi però adottavano giornate diverse.
Durante la seconda conferenza delle donne comuniste (Mosca, 1921) venne infine approvata un’unica data, l’8 marzo, per ricordare la manifestazione contro lo zarismo delle donne di Pietroburgo, che avvenne l’8 marzo 1917.

Dobbiamo quindi andare in Russia per trovare la nascita di questa data, l’otto marzo, e non in America.

Silvia Ferbri

Andrea Salsedo

ANDREA SALSEDO CHE NEL 1920 A NEW YORK VOLO’ DALLA FINESTRA

Giuseppe Galzerano racconta la vicenda in un volume di oltre mille pagine.

Sul quotidiano «Il Manifesto», 14 agosto 2021, pag. 11, la recensione di Mario Di Vito del libro.

Andrea Salsedo Manifesto

ANDREA SALSEDO
New York, Lunedì 3 maggio 1920….

Cento anni fa, il tipografo anarchico Andrea Salsedo – originario di Pantelleria – nella notte del 3 maggio 1920 veniva vigliaccamente e barbaramente defenestrato dal quattordicesimo piano del palazzo della polizia di New York, a Park Row. Era stato arrestato senza alcun mandato l’8 marzo e trattenuto illegittimamente ed illegalmente in carcere, senza informarne l’autorità giudiziaria. La polizia disse che si era trattato di suicidio e che addirittura il detenuto – che era innocente e non aveva commesso nessun reato – aveva chiesto di stare in carcere. A New York la stampa liberale fu scossa dalla terribile notizia.
Il cadavere, terribilmente sfracellato e irriconoscibile, viene subito seppellito, senza alcuna autopsia. La moglie, Maria Petrillo, tornata a Pantelleria con due bambini, coraggiosamente denunzia le autorità americane, chiedendo un risarcimento di centomila dollari.
La sera del 5 maggio, su un tram, vengono arrestati due emigrati italiani, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Nella tasca della giacca di quest’ultimo viene trovato un fogliettino che per il 9 maggio annunzia un comizio di protesta la morte di Andrea Salsedo.
Con una lunga e minuziosa ricerca in Italia e negli Stati Uniti ho ricostruito questa sconosciuta tragedia, attraverso i giornali anarchici e la stampa liberale americana del tempo, i rapporti menzogneri della polizia americana e moltissimo altro materiale, documentazione trovata e esaminata per la prima volta.
L’uscita del mio volume, di oltre 800 pagine, prevista per la ricorrenza dell’anniversario, è solo rimandata di qualche mese a causa dell’emergenza sanitaria che ci ha bloccati e sarà stampato quanto prima.

Andrea Salsedo

Il volume può essere richiesto a Galzerano Editore
tel: 0974.62028
email: galzeranoeditore@tiscali.it

Siamo in guerra


Divulghiamo

Tre giorni di dibattiti e pianificazione delle lotte al CIRCOLO AL BAFO, a Seriate (Bergamo).

Da alcune delle zone più colpite dal covid — le province di Brescia e di Bergamo innanzitutto, ma, più in generale, l’intera Lombardia — è partito un percorso di lotta che ha portato compagni e compagne, uomini e donne di scienza e di strada, studenti e comuni cittadini senza vere esperienze di lotta a confrontarsi e a sviluppare iniziative sui territori.

Immediatamente, nelle fasi più drammatiche dell’emergenza sanitaria e della spettacolarizzazione mediatica della morte di uomini e donne, molti compagni hanno voluto sottoporre a critica la narrazione dominante, provando ad utilizzare le categorie marxiste per comprendere i processi economico-politici sottostanti la crisi sanitaria. Dietro gli aspetti strettamente sanitari e le ovvie relazioni con Big Pharna, si nasconde infatti un affondo del grande capitale internazionale, ben strutturato e pianificato ai più alti livelli economico-militari, contro la classe operaia e la popolazione di tutto il mondo.

Dopo lunghe assemblee e dibattiti on-line, non appena l’allentamento delle restrizioni l’ha consentito, siamo intervenuti nei nostri territori con momenti pubblici di confronto e iniziative di sostegno alle lotte operaie e del mondo del lavoro in generale. Separare le restrizioni imposte in nome del “diritto alla salute” daIle questioni lavorative e di classe ci sembra infatti una strategia tanto ovvia quanto efficace per sottomettere ancora di più la società al capitale.

Il problema non è il covid, non sono i vaccini, né tanto meno il green pass, bensì la strategia organica con cui il capitale ha cancellato in un anno e mezzo decenni di lotte e di conquiste. Ormai è chiaro che la repressione colpisce tutte le categorie lavorative, gli studenti e i ceti sociali più deboli, che ormai includono anche ampie parti di quella che un tempo si chiamava piccola borghesia. E intanto i mercati finanziari festeggiano e Confindustria stappa lo Champagne.

Per questo riteniamo che tutti i fronti di critica e di lotta vadano uniti. Sui nostri territori, abbiamo fatto quello che abbiamo potuto. È arrivato il momento di allargare il confronto a tutte le esperienze che si sono sviluppate su altri territori e cercare un coordinamento a livello nazionale e, possibilmente, internazionale.

Per questo motivo, vogliamo condividere questo documento attorno al quale abbiamo aggregato forze e sviluppato iniziative sul campo. Non si tratta ovviamente della richiesta di adesione alla “nostra” lettura ma di una proposta aperta di collaborazione con tutte le forze reali che si riconoscono in questa impostazione generale, pur con le ovvie puntualizzazioni e critiche che ciascun soggetto individuale o collettivo vorrà apportare.

Socializziamo i nostri percorsi, fate circolare il documento in tutti gli ambiti che ritenete, con tutte le precisazioni che vi sembrano opportune. Confrontiamoci e costruiamo un fronte di lotta unito. RESISTENZA E LIBERAZIONE!

https://siamoinguerra.org/?fbclid=IwAR1ATuFJLxt2RaQekg4fSXuCQlP6LgXY53gMjboHBfD5UkDxqillkkf8cZk

Kurt Gustav Wilckens

di Walter Ranieri

“Il 3 novembre 1886 nasce a Bad Bramstedt in Germania l’Anarchico Kurt Gustav Wilckens, conosciuto in Argentina per aver vendicato la repressione della Patagonia Rebelde (1921-1922) con l’uccisione del tenente colonnello hector benigno varela.
Trovandosi in difficoltà economiche, Wilckens decide di emigrare in cerca di fortuna negli Stati Uniti dove viene assunto come minatore nel bacino carbonifero dell’ Arizona. In qualità di Anarchico e membro della Industrial Workers of the World promuove uno sciopero minerario nel 1916. Arrestato e deportato nel campo di concentramento di Columbus (Nuovo Messico) insieme ad altri 1.167 minatori, riuscirà ad evadere il 4 dicembre 1918. Nel 1919 è nuovamente detenuto negli Stati Uniti e poi espulso in Germania il 20 marzo 1920.Il 29 settembre 1920 sbarca in Argentina, dove c’era un fervente movimento Anarchico. Diviene un militante del movimento Anarchico argentino ed una volta giunto a Buenos Aires collabora, come corrispondente, con il periodico Anarchico tedesco Alarm.
Con Patagonia Rebelde si intende definire l’ondata di scioperi e insurrezioni che si verificarono nel 1921 in Patagonia. L’epicentro di queste manifestazioni fu il territorio di Santa Cruz. Nell’ottobre del 1920 la polizia di Santa Cruz arresta alcuni sindacalisti della “Sociedad Obrera” la quale dichiara lo sciopero in tutta la provincia per la liberazione dei compagni arrestati e per miglioramenti salariali e condizioni di lavoro. Il 10 novembre il tenente varela, deciso a porre termine alle sommosse, impone la fucilazione per i braccianti e gli operai in sciopero: circa 1500 tra operai, braccianti e sindacalisti vengono barbaramente torturati e assassinati. Dopo il massacro varela viene nominato direttore della scuola di cavalleria Campo de Mayo da hipòlito yrigoyen, e dopo la cerimonia invitato a partecipare a una cena in suo onore ospitato dalla lega patriottica argentina e da un gruppo di imprenditori inglesi che ha cantato “Perché è un bravo ragazzo“. L’Anarchico tedesco sentiva il dovere di vendicare l’orribile repressione subita da quei lavoratori; decide quindi di preparare un attentato contro il tenente colonnello varela. Non essendo in grado di fabbricarsi una bomba, si rivolge ad un Anarchico legato ai gruppi espropriatori. Alle 7 del mattino del 25 gennaio 1923, non appena varela lascia la sua casa Wilckens lo uccide . C’era stato un imprevisto al momento del lancio dell’ordigno, infatti, s’era casualmente frapposta tra lui e varela una bambina di 10 anni, Maria Antonia Palazzo, che lo aveva costretto a temporeggiare per permetterle di allontanarsi ma che gli impedirà di proteggersi dalla deflagrazione. Wilckens risulterà ferito ma riuscirà ad estrarre la pistola e a scaricare l’intero caricatore sul “ bravo ragazzo “. Viene quindi arrestato dalla polizia locale. In una lettera del 21 maggio 1923: “ Non fu vendetta nei confronti di varela , insignificante ufficiale. No, era tutto in Patagonia: governo, giudici, boia e becchino. Intendevo colpire l’idolo nudo di un sistema criminale “. Il 15 giugno 1923, a Buenos Aires, Kurt Wilckens viene ucciso in carcere da ernesto pèrez millàn temperley , un membro della lega patriottica argentina. Due anni dopo la morte di Wilckens, il 9 novembre 1925 pèrez millàn a sua volta sarà assassinato in carcere .”

Kurt Gustav Wilckens

Francesco Ghezzi

di Claudio Taccioli

FRANCESCO ERA UN ANARCHICO.

Dall’età di sette anni aveva provato direttamente sulla sua pelle la violenza del lavoro; insieme agli altri bambini proletari.
La sua vita, mai rassegnata, era stata una rivolta continua contro il capitale e lo Stato. Contro la guerra che massacrava milioni di proletari. Contro il fascismo.
Per organizzare la resistenza sindacale come militante dell’USI. Per dare possibilità concrete alla speranza di riscatto dell’umanità.
In lotta e in fuga dalla repressione fra l’Italia, la Svizzera, la Russia e la Germania. Dentro e fuori le galere fra compagne e compagni da aiutare e che lo aiutano nel momento di maggior pericolo. 

Adesso (1923), Francesco Ghezzi di Cusano Milanino dove era nato il 4 ottobre 1893, dopo l’ennesimo arresto, è di nuovo in Russia che lo ha accolto come rifugiato politico; anche se non mancano i contrasti con i bolscevichi. Il movimento anarchico è, di fatto, clandestino, ma lui, ostinatamente, tiene i contatti con le compagne e i compagni.  Fa l’operaio come sempre e il rivoluzionario conseguente alla sua scelta giovanile. In particolare, collabora con la solidarietà internazionalista per conto della Croce Nera Anarchica.
Nel 1929, in Russia, i bolscevichi hanno definitivamente compiuto la parabola totalitaria iniziata già pochi mesi dopo l’ottobre 1917. L’attività di Francesco non è più sopportabile e viene accusato di svolgere azioni controrivoluzionarie e di essere un «agente dell’ambasciata fascista». Come altri è internato nel campo di concentramento di Suzdal’ dentro quello che era stato il monastero di Sant’Eutimio, trasformato in galera. Ci rimane per 3 anni e si ammala di tubercolosi. 
La campagna internazionale di solidarietà costringe i bolscevichi a toglierlo dal gulag e spedirlo in esilio nel Kazakistan; con l’obbligo, comunque, di non lasciare l’URSS. Da qui, poco dopo, viene rimandato a Mosca, dove riprende il suo lavoro di operaio e la sua attività clandestina in aiuto degli antistalinisti, anche se gli sbirri lo tengano sotto controllo. Si sposa con Olga Gaake e hanno una figlia, Tat’jana. 
Nel 1936, chiede di essere mandato in Spagna a combattere contro il fascismo. Gli viene negato il permesso, malgrado le insistenze della CNT che sollecita la liberazione degli anarchici detenuti nelle galere bolsceviche e il loro invio al fronte.
Al contrario, il 5 novembre 1937 è arrestato definitivamente con l’accusa consueta di attività controrivoluzionaria nei luoghi di lavoro e di essere un sostenitore, addirittura, del nazismo. Torturato, per un mese, alla Lubianka dagli sbirri del NKVD, non cede, non confessa e non tradisce.
Il 3 aprile 1939, viene spedito nel gulag di Vorkuta oltre il circolo Polare Artico dove muore di tubercolosi il 3 AGOSTO 1942. 

Dietro le accuse paranoiche del regime stalinista, ce n’è una sola vera e luminosa. Francesco Ghezzi era, fino alla fine, un anarchico. Un rivoluzionario, un ribelle contro ogni potere e Stato. Tanto più ripugnante come fu quello sovietico

Francesco Ghezzi

Un secolo dopo

Gino Ancona

3 agosto 2021

Esattamente un secolo è passato da quando la sinistra consegnò l’Italia nelle mani di Benito Mussolini. I “patti di pacificazione” furono firmati dai socialisti ma tutta la sinistra, con la sua strutturale ignavia a servizio del potere, ne fu complice. Tutto quello che il fascismo ha potuto fare e che l’umanità ha subito e continua a subire, ha nella sinistra i principali responsabili.

I “patti di pacificazione” furono lo strumento politico con il quale si liquidò la Rivoluzione in corso in Italia, si isolarono le Gloriose Resistenze raccolte intorno agli Arditi del Popolo, si resero inefficaci le capacità organizzative della gloriosa Unione Sindacale Italiana, mentre si diede legittimità politica e libertà d’azione, a Mussolini e alle sue bande di delinquenti.
La Storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.

Infatti ora siamo alla farsa, la sinistra che costruisce direttamente un fascismo mentre i fascisti inneggiano alla libertà.
I conti con la Storia sono sempre aperti e di certo non sono stati chiusi con l’ignobile farsa di una pensilina di un distributore di benzina in Piazza Loreto.
La Storia è di chi la fa gli altri la subiscono e la Storia di certo non si fa facendo chiacchiere su chi la sta facendo.

Gino Ancona