Usi civici sulle Apuane
‘QUANDO L’INGIUSTIZIA DIVENTA LEGGE, LA RESISTENZA DIVENTA DOVERE’
(Bertolt Brecth)
E’ ormai da anni che l’unico momento ‘alto’ del dibattito politico in tutta quanta la Versilia è rappresentato dalla battaglia intrapresa da molti cittadini dei paesi della montagna di Seravezza affinché le comunità locali rientrino in possesso di quei beni collettivi che da tempo immemorabile risultano essere di proprietà di ogni singolo paese.

Beni che ormai da decenni hanno fatto la fortuna della ditta Henraux che, pagando al comune di Seravezza un affitto ridicolo, ha fatto lavorare , per poi chiuderle, le cave che davano il marmo più bello del mondo.
Una ditta che un tempo non lontano aveva centinaia di dipendenti e che oggi dà soltanto lavoro a poche decine di persone. La rivendicazione degli Usi Civici è dunque una rivendicazione di civiltà. Infatti , la parola ‘Uso Civico’, significa bene collettivo, un bene che è di proprietà di tutti e che per nessuna ragione può essere venduto . Gli ‘Usi Civici’ che a Carrara vengono chiamate ‘Vicinanze’, che in altre zone d’ Italia hanno altri nomi, affondano la loro origine addirittura nel Medio Evo ed erano pensati per dare un sostegno alle popolazioni di quei paesi che ne erano i legittimi proprietari.
Ci siamo incontrati , in una calda giornata di luglio ,alla Pubblica Assistenza di Minazzana, con alcuni degli animatori di questo comitato. La ‘Pubblica’ è situata in un ampio e pulito stanzone, sulla destra, appena entrati sulla mensola di un camino c’è la foto di alcuni partigiani morti durante la resistenza, e quasi a rivendicar con loro una continuità ideale , appese al muro le mappe dei terreni di proprietà collettiva di tutti i paesi della montagna. Quello che subito colpisce in chi spiega le ragioni del Comitato è la precisione, unita alla passione che animano chi parla. Una storia, quella della rivendicazione degli Usi Civici che dura ormai da anni , cominciata infatti nell’ormai lontano 1988 , ha visto con chiarezza, in seguito a precise misure catastali che per decenni, la ditta Henraux ha cavato marmi da terreni che non le appartenevano e che erano dei paesi della montagna seravezzina. Gli animatori del Comitato degli Usi Civici parlano di sviluppo eco-sostenibile, unico tipo di sviluppo che può portare benessere ai paesi della montagna. Sono fermamente contrari a uno sviluppo economico che non tenga conto della storia e della tradizione di una popolazione. Quello stesso tipo di sviluppo che in tante altre parti d’Italia ha prodotto guasti e disastri. Chiariscono che non hanno assolutamente niente contro l’escavazione del marmo, come da più parti viene insinuato. Sottolineano, e a ragione, che questo va contingentato e soprattutto lavorato a filiera corta prima di essere esportato. Insomma non esportare blocchi che magari ritorneranno qui da noi lavorati , ma esportare almeno il semilavorato.
Richieste dettate semplicemente dal buonsenso, da chi vive e lavora sulle Apuane, che conosce la materia e sa cosa dice. Un contenzioso quello con la ditta Henraux che dicevamo dura da tempo e che le ha visto rifiutare qualsiasi ‘formula conciliativa’, come ci viene detto più volte. Forte della cessione che ad essa è stata fatta delle cave di marmo, da parte dell’amministrazione comunale di Seravezza. Bella amministrazione quella che cedette un bene non suo. Che ha visto la Ditta, come veniva un tempo chiamata, quando lavoravano per l’Henraux migliaia di persone, stare attenta, malgrado la durezza dello scontro sociale di quegli anni a quello che si muoveva sul territorio, utilizzare oggi tattiche dilatorie, per costringere questi uomini e queste donne a desistere. Si assiste infatti ad aziende incaricate dell’estrazione del marmo, che cambiano nome all’improvviso, per costringere a ricominciare tutto da capo . Una tattica che chiaramente mira a stancare gli uomini e le donne del Comitato. Che però non hanno assolutamente nessuna intenzione di desistere. Un contenzioso che ha visto le amministrazioni comunali di Seravezza, la Comunità Montana ,l’ente Parco delle Apuane nel migliore dei casi starsene colpevolmente in silenzio. Nel peggiore invece , essere capaci soltanto di dire che le legittime richieste di questi cittadini sono dettate da ‘campanilismo’, da ‘leghismo’, da ‘egoismo’ e via dicendo. Del resto se nella commissione per gli Usi Civici del comune di Seravezza non è stato mai fatto sedere nemmeno uno degli animatori del Comitato, qualcosa vorrà pure dire. Da tempo viene inoltre chiesta alla regione Toscana, è infatti la regione l’organo competente , la possibilità di eleggere l ‘ASBUC (Amministrazione Separata Beni Usi Civici) un organismo eletta dai cittadini, un organismo democratico dunque. Un organismo che li rappresenti e che faccia valere nelle sedi istituzionali le loro ragioni. E questa richiesta peraltro assolutamente legittima si sta scontrando con un vero e proprio muro di gomma. La Regione infatti prende tempo, nomina commissioni che si riuniscono, per poi riunirsi di nuovo, per riunirsi ancora. Per non prendere insomma nessuna decisione. Non un partito, non un sindacato, non un amministratore si è dimostrato sensibile alle ragioni del comitato che ha piena coscienza che il percorso è ancora lungo e pieno di insidie e di difficoltà e che non troverà alleati nel ‘palazzo’ della politica e negli alti gradi dell’economia. Perchè è grande la paura quando le persone ‘comuni’, come in questo caso, vogliono decidere da sole.
Infatti quegli stessi che hanno esultato dopo il referendum che ha sancito che l’acqua tornasse ad essere un bene comune e che sproloquiano che ‘il mondo non è in vendita’ se ne stanno ora zitti. Come tacciono i tanti legalitari che sempre dicono che la cosa più importante , per fare in modo che questo paese ‘riparta’ è mettere al centro del dibattito politico ‘la cultura della legalità’. Una legalità che in questo caso è vilipesa e irrisa e lo è nel modo più insidioso, quello del ‘formalmente corretto’.
‘Cavatori. Le cave sono vostre!’, così gridava in piazza Alberica nel 1911 a Carrara, Alberto Meschi, che della Camera del Lavoro di Carrara era in quel momento il segretario. E’ passato un secolo esatto da allora, Cento anni in cui è successo di tutto , cento anni, un breve intervallo per la storia, e dopo un secolo la storia ritorna con la sua durezza nel non volere mai lasciare un conto in sospeso.
Fuori Riga
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