venerdì, 18 settembre 2009

La Cooperativa Megaride

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L. Izzo, I. Papaleo, F. Pighetti
Da classe operaia a classe dirigente
La Cooperativa Megaride, un’impresa dei lavoratori
Formato cm. 12 X 21
ISBN 978-88-8292-449-2
Edizioni LA CITTÀ DEL SOLE

Collana Archivio storico del movimento operaio n. 15

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Quella dei Cantieri Navali Megaride di Napoli è stata storia di autentica lotta di un manipolo di operai del porto di Napoli contro l’arroganza del padrone, i licenziamenti, la chiusura del cantiere. Oggi quella stessa lotta continua – nella forma di un’esperienza viva e vitale di autorganizzazione produttiva collettivizzata – contro le difficoltà, gli ostacoli, i ricatti che il sistema economico capitalista impone a chiunque cerchi di sottrarsi alle sue logiche. Contrapporsi al Capitale e trasferire i mezzi di produzione nelle mani dei lavoratori è obiettivo tangibile, perfino praticabile – seppure con enormi limiti – in un sistema dominato dal capitalismo e dalle sue leggi. È questo il grido di guerra che la Cooperativa Megaride ha lanciato dimostrando come operai coscienti siano capaci di gestire, programmare, far avanzare, autonomamente, la propria azienda pur senza alcun aiuto economico né sostegno politico da coloro che avrebbero dovuto – per definizione – sostenerne la lotta.

Recentemente la classe operaia della INNSE ha dovuto sostenere una 
lotta per tanti aspetti molto simile: identiche le motivazioni, 
differenti in parte le modalità, diverse le conclusioni vittoriose. 
Sull’esempio degli operai della INNSE tantissimi altri lavoratori – non 
solo di fabbriche – hanno affrontato – con un impegno diretto di massa, 
spesso senza o oltre le mediazioni delle organizzazioni sindacali – la 
lotta in difesa del proprio posto di lavoro con coraggio e tenacia, con 
una radicalità desueta da molti anni. È uno straordinario segnale di 
una possibile svolta nello scontro di classe in Italia.
Il fatto è che, per consentire alla classe operaia e alle classi 
subalterne di risalire dall’abisso di sfiducia e di subordinazione in 
cui la sciagurata deriva concertativa e governista di decenni le ha 
piombate, sono indispensabili esperienze come quella dei lavoratori dei 
“Cantieri Navali Partenopei” – poi costituitisi in “Cooperativa 
Cantieri Megaride” – , ed è necessario farle conoscere, interpretarle, 
generalizzarle. Lenin diceva che un solo fatto convince più di cento parole.
La lotta cocciuta di questo manipolo di operai del porto di Napoli è 
certamente un fatto che, nel suo dispiegarsi in una esperienza – sempre 
difficilissima, spesso dolente e sofferta – di molti anni, risulta 
estremamente convincente su alcuni nodi politici dello scontro di 
classe mille volte enunciati e scritti nella propaganda dei comunisti:
1. Il perseguimento del massimo profitto e la logica speculativa – che 
distrugge più risorse di quante ne crei – non sono ineluttabili, né 
nella fase emergenziale in cui è necessario affrontare e risolvere la 
crisi dell’azienda, né nella gestione ordinaria dell’impresa.

Questi operai – pressati dalla necessità assoluta di preservare il posto di 
lavoro, ben decisi a non accettare licenziamenti e chiusura della 
fabbrica, né a piegarsi a mortificanti soluzioni parziali e temporanee – hanno dimostrato che una programmazione di maggior respiro e di più lungo termine, ben calibrata e finalizzata, può efficacemente preservare e migliorare la capacità produttiva degli impianti e la stessa occupazione.
2. La democrazia operaia è la forma in cui le straordinarie 
potenzialità della classe lavoratrice sono esaltate e sono messe in 
grado di far diventare il protagonismo operaio – intelligenza, 
determinazione, capacità di apprendimento e di iniziativa –, 
organizzato e finalizzato,  funzione della produzione. Gli operai della 
“Megaride” hanno dimostrato non soltanto di saper assumere 
collettivamente decisioni vitali per la sopravvivenza e per la vita 
della loro fabbrica, ma anche di aver acquisito capacità 
imprenditoriali in tutti gli ambiti (tecnico, produttivo, 
amministrativo, finanziario, etc.) all’altezza delle differenti e 
complicate esigenze gestionali; hanno saputo darsi un’organizzazione 
del lavoro e delle funzioni produttive non regolati da alcuna gerarchia 
estranea alla forza-lavoro produttiva; hanno ridotto il ventaglio 
salariale: in definitiva hanno dimostrato che la “proprietà” è l’unica 
figura obbiettivamente superflua, estranea al ciclo produttivo e alla 
vita aziendale, mentre quella di direzione può essere efficacemente 
espletata in larghissima parte in forma collettiva dagli stessi lavoratori.
3. Quest’esperienza è nata e si è compiuta nel sostanziale isolamento 
rispetto ai tradizionali riferimenti politico-organizzativi della 
classe operaia. Non sono mancati, anzi, molto spesso, momenti di aperto 
contrasto con il sindacato e con i partiti in cui, per altro, 
paradossalmente, quegli stessi lavoratori militavano. Eppure sono 
andati avanti con estrema determinazione nel cammino che essi stessi, 
liberamente, avevano individuato e intrapreso, riuscendo a spuntarla a 
dispetto di enormi difficoltà obbiettive e delle ostilità soggettive. 
Il Novecento è stato ricchissimo di esperienze che avevano già 
dimostrato queste ed altre capacità che il protagonismo operaio sa 
mettere in campo una volta che sia liberato dal cappio di una direzione 
a lei estranea e della espropriazione della ricchezza prodotta. Questi 
lavoratori del porto di Napoli non si sono inventati niente, non sono 
degli eroi: hanno soltanto saputo con tenacia e creatività superare 
incredibili difficoltà e, ad un certo punto della loro lotta, 
riscoprire e praticare una strada che è ormai nel patrimonio della loro 
classe. L’importanza della loro esperienza sta semplicemente proprio 
nell’averla riproposta in un momento storico in cui il capitalismo, 
senza più contrasto, sembra non avere più argine alle sue politiche 
antioperaie e antipopolari, e in cui le tradizionali organizzazioni 
della classe operaia si sono dissolte o hanno del tutto smarrito 
memoria storica e capacità di orientamento e di direzione in senso 
anticapitalista del bisogno, della tensione alla liberazione e del 
potenziale che il proletariato e le classi subalterne custodiscono.

Questo libro esce nel punto più alto della peggiore crisi che il 
capitalismo transnazionale abbia mai attraversato nella sua storia e 
che sta riversando sulle classi lavoratrici il peso insostenibile di 
una sua improbabile e precaria ripresa. Senza un contrasto efficace l’imbarbarimento del capitale continuerà ad avanzare e trascinerà tutti verso il baratro.
Nel proporre alla riflessione e al dibattito la lotta e i traguardi 
raggiunti degli operai della “Megaride” abbiamo l’ambizione di 
suggerire che solo investendo su un rinato protagonismo della classe 
operaia si può sperare in una ripresa che ponga argine alla barbarie. 
Questo volumetto, dunque, può costituire un piccolo tassello nello 
sforzo necessario di ricostruire faticosamente un’identità culturale, 
politica e organizzativa di classe.
L’augurio è che, a breve, saremo in grado di portare all’attenzione di 
lavoratori e militanti i resoconti di altre lotte e le riflessioni che 
i protagonisti – direttamente, come in questo caso – vorranno far 
conoscere per arricchire il patrimonio di esperienze dell’intera classe 
lavoratrice.
Sergio Manes

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