La Cooperativa Megaride

L. Izzo, I. Papaleo, F. Pighetti
Da classe operaia a classe dirigente
La Cooperativa Megaride, un’impresa dei lavoratori
Formato cm. 12 X 21
ISBN 978-88-8292-449-2
Edizioni LA CITTÀ DEL SOLE
Collana Archivio storico del movimento operaio n. 15
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Quella dei Cantieri Navali Megaride di Napoli è stata storia di autentica lotta di un manipolo di operai del porto di Napoli contro l’arroganza del padrone, i licenziamenti, la chiusura del cantiere. Oggi quella stessa lotta continua – nella forma di un’esperienza viva e vitale di autorganizzazione produttiva collettivizzata – contro le difficoltà, gli ostacoli, i ricatti che il sistema economico capitalista impone a chiunque cerchi di sottrarsi alle sue logiche. Contrapporsi al Capitale e trasferire i mezzi di produzione nelle mani dei lavoratori è obiettivo tangibile, perfino praticabile – seppure con enormi limiti – in un sistema dominato dal capitalismo e dalle sue leggi. È questo il grido di guerra che la Cooperativa Megaride ha lanciato dimostrando come operai coscienti siano capaci di gestire, programmare, far avanzare, autonomamente, la propria azienda pur senza alcun aiuto economico né sostegno politico da coloro che avrebbero dovuto – per definizione – sostenerne la lotta.
Recentemente la classe operaia della INNSE ha dovuto sostenere una
lotta per tanti aspetti molto simile: identiche le motivazioni,
differenti in parte le modalità, diverse le conclusioni vittoriose.
Sull’esempio degli operai della INNSE tantissimi altri lavoratori – non
solo di fabbriche – hanno affrontato – con un impegno diretto di massa,
spesso senza o oltre le mediazioni delle organizzazioni sindacali – la
lotta in difesa del proprio posto di lavoro con coraggio e tenacia, con
una radicalità desueta da molti anni. È uno straordinario segnale di
una possibile svolta nello scontro di classe in Italia.
Il fatto è che, per consentire alla classe operaia e alle classi
subalterne di risalire dall’abisso di sfiducia e di subordinazione in
cui la sciagurata deriva concertativa e governista di decenni le ha
piombate, sono indispensabili esperienze come quella dei lavoratori dei
“Cantieri Navali Partenopei” – poi costituitisi in “Cooperativa
Cantieri Megaride” – , ed è necessario farle conoscere, interpretarle,
generalizzarle. Lenin diceva che un solo fatto convince più di cento parole.
La lotta cocciuta di questo manipolo di operai del porto di Napoli è
certamente un fatto che, nel suo dispiegarsi in una esperienza – sempre
difficilissima, spesso dolente e sofferta – di molti anni, risulta
estremamente convincente su alcuni nodi politici dello scontro di
classe mille volte enunciati e scritti nella propaganda dei comunisti:
1. Il perseguimento del massimo profitto e la logica speculativa – che
distrugge più risorse di quante ne crei – non sono ineluttabili, né
nella fase emergenziale in cui è necessario affrontare e risolvere la
crisi dell’azienda, né nella gestione ordinaria dell’impresa.
Questi operai – pressati dalla necessità assoluta di preservare il posto di
lavoro, ben decisi a non accettare licenziamenti e chiusura della
fabbrica, né a piegarsi a mortificanti soluzioni parziali e temporanee – hanno dimostrato che una programmazione di maggior respiro e di più lungo termine, ben calibrata e finalizzata, può efficacemente preservare e migliorare la capacità produttiva degli impianti e la stessa occupazione.
2. La democrazia operaia è la forma in cui le straordinarie
potenzialità della classe lavoratrice sono esaltate e sono messe in
grado di far diventare il protagonismo operaio – intelligenza,
determinazione, capacità di apprendimento e di iniziativa –,
organizzato e finalizzato, funzione della produzione. Gli operai della
“Megaride” hanno dimostrato non soltanto di saper assumere
collettivamente decisioni vitali per la sopravvivenza e per la vita
della loro fabbrica, ma anche di aver acquisito capacità
imprenditoriali in tutti gli ambiti (tecnico, produttivo,
amministrativo, finanziario, etc.) all’altezza delle differenti e
complicate esigenze gestionali; hanno saputo darsi un’organizzazione
del lavoro e delle funzioni produttive non regolati da alcuna gerarchia
estranea alla forza-lavoro produttiva; hanno ridotto il ventaglio
salariale: in definitiva hanno dimostrato che la “proprietà” è l’unica
figura obbiettivamente superflua, estranea al ciclo produttivo e alla
vita aziendale, mentre quella di direzione può essere efficacemente
espletata in larghissima parte in forma collettiva dagli stessi lavoratori.
3. Quest’esperienza è nata e si è compiuta nel sostanziale isolamento
rispetto ai tradizionali riferimenti politico-organizzativi della
classe operaia. Non sono mancati, anzi, molto spesso, momenti di aperto
contrasto con il sindacato e con i partiti in cui, per altro,
paradossalmente, quegli stessi lavoratori militavano. Eppure sono
andati avanti con estrema determinazione nel cammino che essi stessi,
liberamente, avevano individuato e intrapreso, riuscendo a spuntarla a
dispetto di enormi difficoltà obbiettive e delle ostilità soggettive.
Il Novecento è stato ricchissimo di esperienze che avevano già
dimostrato queste ed altre capacità che il protagonismo operaio sa
mettere in campo una volta che sia liberato dal cappio di una direzione
a lei estranea e della espropriazione della ricchezza prodotta. Questi
lavoratori del porto di Napoli non si sono inventati niente, non sono
degli eroi: hanno soltanto saputo con tenacia e creatività superare
incredibili difficoltà e, ad un certo punto della loro lotta,
riscoprire e praticare una strada che è ormai nel patrimonio della loro
classe. L’importanza della loro esperienza sta semplicemente proprio
nell’averla riproposta in un momento storico in cui il capitalismo,
senza più contrasto, sembra non avere più argine alle sue politiche
antioperaie e antipopolari, e in cui le tradizionali organizzazioni
della classe operaia si sono dissolte o hanno del tutto smarrito
memoria storica e capacità di orientamento e di direzione in senso
anticapitalista del bisogno, della tensione alla liberazione e del
potenziale che il proletariato e le classi subalterne custodiscono.
Questo libro esce nel punto più alto della peggiore crisi che il
capitalismo transnazionale abbia mai attraversato nella sua storia e
che sta riversando sulle classi lavoratrici il peso insostenibile di
una sua improbabile e precaria ripresa. Senza un contrasto efficace l’imbarbarimento del capitale continuerà ad avanzare e trascinerà tutti verso il baratro.
Nel proporre alla riflessione e al dibattito la lotta e i traguardi
raggiunti degli operai della “Megaride” abbiamo l’ambizione di
suggerire che solo investendo su un rinato protagonismo della classe
operaia si può sperare in una ripresa che ponga argine alla barbarie.
Questo volumetto, dunque, può costituire un piccolo tassello nello
sforzo necessario di ricostruire faticosamente un’identità culturale,
politica e organizzativa di classe.
L’augurio è che, a breve, saremo in grado di portare all’attenzione di
lavoratori e militanti i resoconti di altre lotte e le riflessioni che
i protagonisti – direttamente, come in questo caso – vorranno far
conoscere per arricchire il patrimonio di esperienze dell’intera classe
lavoratrice.
Sergio Manes